Spreco alimentare, degrado del suolo e cambiamento climatico sono in stretta relazione tra loro. E, casomai ce ne fosse bisogno, un’ulteriore conferma arriva dallo studio "Bending the curve of land degradation to achieve global environmental goals" pubblicato di recente dalla rivista Nature.
L’analisi ha impegnato un team di 21 scienziati, con capofila la saudita King Abdullah University of Science and Technology (KAUST). L’articolo individua le criticità dell’attuale sistema alimentare ma, al tempo stesso, suggerisce quali dovrebbero essere i comportamenti da adottare per prevenire il degrado del suolo a livello globale prima che sia troppo tardi. Secondo i ricercatori, il sistema di produzione alimentare deve essere rivisto radicalmente e, per farlo, è necessario che vengano raggiunti accordi intergovernativi per far fronte al problema. In tal senso, nell’Unione europea, non mancano progetti e misure a contrasto degli sprechi ma ancora non bastano.
Secondo gli scienziati, entro il 2050 vanno ripristinati 3 milioni di kmq di terreni coltivabili e 10 milioni di kmq di terreni non coltivabili che, insieme, rappresentano il 50% dei terreni degradati. E per farlo, è necessario il coinvolgimento delle comunità locali che vivono e gestiscono il territorio, ma non solo. I ricercatori sollecitano lo spostamento degli aiuti dalle aziende agricole industriali ai piccoli produttori e auspicano che il 90% dei terreni agricoli del mondo siano distribuiti su appezzamenti di suolo inferiori a circa 2 ettari. Tra le altre raccomandazioni, l’etichettatura ambientale dei prodotti al fine di aiutare le scelte dei consumatori e monitoraggi e rendicontazioni più efficaci finalizzati a un miglior tracciamento delle emissioni.

Come fermare lo spreco alimentare
Secondo lo studio, per imprimere una svolta al fenomeno dello spreco alimentare, è necessario che i territori siano gestiti secondo canoni di sostenibilità, soprattutto in vista dell’aumento della richiesta di cibo. Si prevede infatti che la domanda crescerà del 56% nel giro dei prossimi 30 anni. Attualmente, sottolinea ancora l’indagine, i processi di produzione alimentare occupano il 34% delle terre libere dai ghiacci. Essi sono responsabili del 21% delle emissioni dei di gas serra a livello mondiale, oltre che del consumo del 70% dell’acqua dolce e causa dell’80% della deforestazione.Le misure suggerite per arginare lo spreco di cibo
Nel mondo, il 33% del cibo viene sprecato. Più in particolare, il 14% degli alimenti si perde dopo il raccolto agricolo. Le vendite al dettaglio, la ristorazione e le famiglie sono invece responsabili del 19% dello spreco. Che fare? Lo studio suggerisce, tra l’altro, di:- Sostituire il 70% del consumo di carne rossa prodotta con sistemi non sostenibili con pesci e molluschi, anche d’allevamento, prodotti attraverso le buone pratiche della sostenibilità. Così facendo, si potrebbero risparmiare 17,1 milioni di kmq di suolo ora utilizzato per i pascoli e per i foraggi necessari all’alimentazione del bestiame,

- sostituire il 10% del consumo globale di verdure con prodotti derivati da alghe prodotte secondo criteri sostenibili per avere 400mila kmq in più di terreni coltivabili,
- varare politiche contro il deterioramento del suolo,
- rivedere gli standard di vendita al dettaglio, accettando anche quei prodotti buoni ma brutti da vedere e che attualmente sono rifiutati
- promuovere la donazione degli alimenti,
- promuovere campagne di sensibilizzazione ed educative con l’obiettivo di ridurre gli sprechi tra le mura domestiche e che, solo in Italia, costano alla famiglie 290 euro ogni anno.
Come salvare i terreni degradati

I soggetti coinvolti nella lotta allo spreco alimentare
Per raggiungere gli obiettivi elencati e favorire i cambiamenti verso la sostenibilità, lo studio auspica accordi intergovernativi e una azione coordinata a livello internazionale, come anche indicato nella guida della Fao "Get involved!. In particolare, è fondamentale il coinvolgimento delle tre convenzioni dell’Onu. Cioè: la Convenzione delle Nazioni Unite per la lotta alla desertificazione, la Convenzione sulla diversità biologica e la Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici.